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Renato in questo mezzo avendo dato al duca di Borgogna per la sua liberazione la valle di Casletto, la quale ancora al di d'oggi li successori di Borgogna possedeno in Fiandra, montato sopra un'armata di dodici galee, la quale aveva fatto preparare a Genova, tornò a Napoli, con ogni regal pompa ricevuto, del mese di maggio nel 1438. E fece venire a sé Iacopo Caldora, il quale tutti li migliori soldati de la compagnia del patriarca aveva a li suoi stipendi condotti, e ingrossò il suo esercito; dappoi fece venire a Napoli Micheletto Attendolo, il quale era stato in Calabria tre anni e aveva tenuto quella provincia a la devozione de li angioini: e venne con mille cavalli e in modo crescette il suo esercito, che diede qualche speranza di poter rimanere vittorioso de l'impresa. Tuttavia licenziò l'armata genovese avendo male il modo di pagarla e in fine altro non fece per allora, se non che recuperò Scafati e il ducato di Amalfi, il quale Alfonso poco tempo aveva tenuto, e passò nel territorio di San Severino; né potendo aver la terra, predò tutto il paese e bruciollo.
Alfonso avendo in quel mezzo preso il conte di Celano e di Albi, essendo venuto a Castelluccio, se li presentò un araldo mandato da Renato con il guanto di ferro insanguinato, provocandolo e invitandolo da sua parte a duello e battaglia singulare. Alfonso accettò il guanto, poi li dimandò se a corpo a corpo oppur con tutto l'esercito voleva Renato combattere: rispose l'araldo, che con tutto l'esercito. Allora Alfonso rispose che accettava la battaglia, e che spettando a lui per ragion de l'arme, come a provocato, la elezione del dí e del loco de la battaglia, disse che eleggeva quel piano che è tra' Nola e la Cerra e che a l'ottavo giorno da quello si trovaria lí con l'esercito ad aspettarlo.
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