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Antonio Caldora corse ancor lui a Carpinone disposto di fare fatto d'arme prima che Giovan Sforza (sí come dimonstrava di voler fare) ne la Marca tornasse. Essendo dunque apparecchiato per combattere Antonio, consultando il re Alfonso del modo del far fatto d'arme, li suoi lo confortavano che la sua persona non vi si dovesse trovare, anzi lasciar fare a loro; ma Alfonso indignato rispose: - Adunque quello che suole ne le battaglie giovare, cioč la presenza del capitano, adesso li sará per nuocere? Non piaccia a Dio che tal carico si faccia al nostro sangue d'Aragona! Intendo si combatta virilmente, e io voglio essere il primo, per monstrarvi che a la fortuna e gloria vostra la mia presenza non č per nuocere. - E questo detto, postosi subito la celata in testa, fece suonar battaglia a la trombetta. Cominciossi il fatto d'arme, il quale fu aspro e per molte ore dubbioso e non senza sangue: in fine moltiplicando li aragonesi e non soccorrendo i caldoreschi li suoi retroguardi, furono rotti e sconfitti e la compagnia sforzesca tutta fu presa e il conte Antonio rimase prigione e Giovanni Sforza fuggí in Ortona.
Dappoi questa rotta tenne il re Alfonso sin che 'l visse tutto il regno di Napoli da l'Aquila insino a Regio di Calabria, domando in breve e con somma facilitá, se alcuna repugnanza vi fu. Mirabile cosa in questa vittoria fu considerare la magnanimitá di questo ottimo re. Consigliava ciascuno che Antonio Caldora come ribelle, perfido et ereditario inimico si dovesse a la morte dannare: non volse Alfonso, anzi senza mai ricordarli o la inimicizia paterna o le offensioni da lui ricevute o le cose di questa battaglia e vittoria, senza mai improperarli iniuria alcuna, come se mai tra loro cosa alcuna stata non fusse, tutti li stati e beni paterni e propri li lasciň tenere.
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