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'compendio-de-le-istorie-del-regno-di-napoli-di-pandolfo-collenuccio-pagt'
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Frate Puccio volando tornň a Tibure: il re intesa la disposizione di Filippo, si dolse oltra modo che tanto principe, il qual lui chiamava padre, a tanta necessitá per oppressione de' veneziani fusse venuto, che pensasse renunciare il stato ad altri. Onde rimandň frate Puccio a Milano, imponendoli che confortasse Filippo a star di buona voglia, che presto veneria al suo sussidio in Lombardia e non per speranza né per volontá del suo stato, ma per amore e per debito de li benefici ricevuti lo difenderia da la rabbia veneziana: e per questo attendesse a pensare di avere a distribuire in altri lo stato de' veneziani e non di renunciare e privarsi del suo proprio. In quel mezzo che frate Puccio tornava a Milano, il duca da la febre e dissenteria gravato a' 13 di agosto di questa vita passň, avendo prima suo erede universale instituito Alfonso: cosí dopo la sua morte fu consegnato il Castel di porta Giobia per sua ordinazione a Ramondo, il quale, convocati a sé tutti li condottieri che erano stati del duca, Guidantonio da Faenza, Carlo da Gonzaga, Luigi Dal Vermo e li figliuoli di Luigi San Severino, tolse da loro la fede di seguire e conservare la parte del re Alfonso. Li quali data la fede, e veduto poi che 'l popolo di Milano tendeva a la libertá, con esso fra pochi dí si concordorono, e dimenticata la fede data, miseno a sacco le genti d'arme e la robba di Ramondo, la quale era nel monasterio di Santo Ambrosio. Il popolo poi con pochi denari ebbe la rocca grande; quelli de la rocca picciola resistetteno alquanto, poi persuasi dal popolo che Alfonso non era per soccorrerli, diviseno tra loro diciasette mila ducati, che ne li forzieri di Filippo avevano trovato e la rocca renderono.
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