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egantemente scritti lasciò; Antonio cognominato Panormita bolognese, uomo di ameno ingegno, che scrisse versi dolci e festivi e un picciolo libretto de li detti di Alfonso.
Uomini di gran valore in arte militare, e per nobiltá di sangue e per grandezza d'animo e per desteritá d'ingegno attissimi ad ogni impresa, ne ebbe in gran copia in sua corte; imperocché da lui erano ben veduti, onorati e premiati. Ebbe tra li altri dui cavalieri, Ercule e Sigismondo, fratelli marchesi da Este, vetustissimo sangue in Italia, uomini cortesi e animosi, che ne l'arme e ogni altra opera cavalleresca a niuno cedevano: de li quali Ercule fu poi capitano d'arme e duca di Ferrara e di Modena e di Reggio, e ancor vive, uomo di eccellente prudenza e virtú, vera imagine d'Alfonso, del quale in questo libro a suo loco e in altre scritture piú particolare menzione faremo. Vi furono ancora in quelli tempi don Lupo Ximena de Urrea aragonese, viceré di Sicilia e del regno di Napoli in assenza di Alfonso, messer Innico gran siniscalco, don Innico d'Avalos conte camerlengo, messer Encoriglia conte di Consentaina, messer Ramondo Boillo valenziani, don Alfonso di Cardona conte di Regio, don Antonio di Cardona conte di Colisano, messer Teseo capuano, e molti altri uomini prestantissimi, oltra li nominati di sopra nel discorso de l'istoria; senza dire che ingegneri, scultori, architetti, navigatori e tutti li meccanici che di qualche prestanza fussino, ne la sua corte abbondavano, però che tutti come a un asilo e ad un tempio de l'aureo secolo correano.
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