III. Al finire del 1700 Filippo V ascese al trono di Spagna e a' domìni di quella corona per testamento del morto re Carlo II. Ma contrastando il trono a Filippo l'imperatore Leopoldo, si apprestavano gli eserciti a decidere la gran lite. Il viceré di Napoli Medinaceli gridò re Filippo V: il popolo vi fu indifferente; i nobili, amanti dell'Austria, avversi alla casa di Francia, un figlio della quale, duca di Angiò, era Filippo, si addolorarono. Ma venne a consolarli di speranze la guerra di Lombardia, dove gli eserciti imperiali erano più fortunati, e il capitano principe Eugenio riempiva del suo nome e delle sue geste i discorsi d'Italia. Fu quindi spedito all'imperatore Leopoldo don Giuseppe Capece, ambasciatore secreto della nobiltà napoletana; la quale promettendo levare il popolo, esigeva da Cesare per patti: spedir solleciti aiuti d'armi, mutare lo Stato da provincia a regno libero, dargli re Carlo arciduca, mantenere i privilegi acconsentiti da' passati principi, fondare un senato di cittadini, consigliero negli affari del regno, sostenere le antiche ragioni della nobiltà, concedere nuovi titoli e terre a' congiurati. E ciò concordato, tornò in Napoli a riferire quelle pratiche e ad ordire la non facile impresa.
IV. Vennero nel tempo stesso, fingendo cagioni oneste, don Girolamo Capece e 'l signor Sassinet da Roma, don Iacopo Gambacorta principe di Macchia da Barcellona; il Capece colonnello nelle milizie di Cesare, il Sassinet segretario dell'ambasciata imperiale presso il papa, il Gambacorta giovine pronto, loquace, povero, ambizioso, con le qualità più eminenti di congiurato, per lo che fu capo e diede alla congiura il suo nome di "Macchia" (1701). Era il mezzo di settembre quando, computate le opere e i tempi, si prefisse primo giorno dell'impresa il dì 6 di ottobre.
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