Scemavano la potenza dell'impresa le sfrenatezze della plebe e l'avvilimento de' grandi; tal che il principe di Macchia per editto minacciò pena di morte così a' predoni quanto a coloro tra' nobili che indugiassero oltra un giorno ad aiutare le parti del re Carlo. L'editto, disperante agli uni, estremo agli altri, nacque in doppio modo alla congiura.
Così che il viceré, vedendo freddo il popolo, i nobili divisi, i congiurati pochi e ormai timidi, fece sbarcare nel terzo di le ciurme delle galere spagnuole ancorate nel porto; e formate a schiera con le milizie, le spinse dal Castelnuovo contro i ribelli, accampati dietro certe sbarre in alcuni posti della città: mentre i castelli, ad offendere e spaventare, facevano romore continuo di artiglieria. La torre di Santa Chiara occupata dai congiurati per inalzarvi la bandiera d'Austria, spiare dall'alto nella città, e sonare a doppio le campane, fu subito espugnata; gli altri posti assaltati e presi. Si dispersero i difensori: il Macchia ed altri fuggirono; Sassinet e Sangro furono prigioni; abbassata e vilipesa la bandiera di Carlo, si rialzarono le immagini e le insegne di Filippo. Nulla rimase della tentata ribellione, fuorché la memoria, il danno e i soprastanti pericoli.
Di fatti, richiamato il Medinaceli, venne da Sicilia viceré il duca di Ascalona. A don Carlo di Sangro colonnello di Cesare fu mozzato il capo nella piazza di Castelnuovo; altri congiurati finirono della stessa morte; altri spietatamente uccisi nelle carceri: Sassinet, però che segretario di ambasciata, fu mandato in Francia prigione; molti languivano nelle catene, i beni di tutti furono incamerati; crebbero i rigori, le pene, i supplizi per tutte le colpe, sopra tutte le classi de' cittadini.
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