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      Al quale spettacolo e terrore il popolo si sdegnò del Governo, e sentì pentimento d'essere mancato alla congiura de' nobili: come suole agli uomini, fallire e pentirsi.
      V. (1702) Saputa dal re Filippo quella congiura, misurata la mole de' corsi pericoli, incerte ancora le guerre d'Italia e di Spagna, volle per liberalità e clemenza calmare gli odi della ribellione e de' castighi. Imbarcato perciò a Barcellona, venne in Napoli nel giugno del 1702, e fu ricevuto con le festevoli accoglienze che usano le genti oppresse a coloro in cui sperano. Il popolo non ottenne quel che più bramava, ritenere il suo re, da maggiori destini chiamato nelle Spagne; ma consegui la larga mercede alle amorevoli dimostrazioni, però che il re abolì molte taglie, donò molti milioni di ducati dovuti al fisco, rimise le passate colpe di maestà, diede titoli ai nobili di sua parte sempre mostrandosi co' soggetti benigno e piacevole. Si assembrarono il clero, i baroni, gli Eletti, per decretare in segno di universale gratitudine un dono al re di trecentomila ducati, e lo innalzamento della sua statua equestre in bronzo nella piazza maggiore della città. Ma i progressi dell'esercito d'Austria in Lombardia obbligarono Filippo, dopo due mesi di gradevole soggiorno, a partire di Napoli per pigliare il freno degli eserciti gallispani che fronteggiavano il fortunato Eugenio di Savoia. Lasciò viceré lo stesso Ascalona.
      VI. Nell'anno 1705 trapassò l'imperatore Leopoldo, e gli successe Giuseppe suo primo figlio. Non perciò rallentarono i furori della doppia guerra in Alemagna e in Italia: sì che l'Ascalona spediva soldati, navi e danaro in aiuto di Spagna, straziando per leve d'uomini e di tributi gli afflitti popoli.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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