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      L'amore per Filippo dechinava, e n'era cagione l'acerbità dei suoi ministri. Così stando le cose del 1707, il principe Eugenio, disfatti nella Lombardia gli eserciti gallispani, spedì sopra Napoli, per le vie di Tivoli e Palestrina, cinquemila fanti e tremila cavalieri tedeschi sotto l'impero del conte Daun. Il viceré Ascalona, scarso di proprie forze, concitò i regnicoli, che trovò, per avversione alla guerra e per tendenza alle novità di Governo, schivi all'invito. Solamente il principe di Castiglione don Tommaso d'Aquino, e 'l duca di Bisaccia don Niccolò Pignatelli, con poche migliaia di armati accamparono dietro al Garigliano, ed all'avanzarsi del Daun tornarono in Napoli. Capua ed Aversa si diedero al vincitore; il duca di Ascalona riparò a Gaeta. L'avanguardo tedesco, retto dal conte di Martiniz, nominato da Cesare viceré di Napoli, era in punto di marciare ostilmente; quando legati di pace gli andarono incontro a presentare le chiavi della città, non vinta ma vogliosa del nuovo impero. L'ingresso delle schiere cesaree fu trionfale; il popolo alzò voci di plauso al vincitore, e furioso qual suole nelle allegrezze, atterrata la statua poco innanzi eretta di Filippo V, rotta in pezzi, la gettò nel mare. Pochi giorni appresso cederono i tre castelli della città; il presidio di Castelnuovo, ufiziali e soldati, spagnuoli e napoletani, passò agli stipendi del nuovo principe, non vergognando della incostanza.
      Il principe di Castiglione, o non ancora sentisse morte le speranze, o (che più l'onora) si conservasse fedele alle sventure della sua bandiera, con mille cavalli riparavasi nelle Puglie; ma trovato munito dal nemico il passo di Avellino, deviò per Salerno. Più numerosa cavalleria tedesca lo inseguiva; le sue genti lo abbandonavano; con pochi resti dei mille fu prigione.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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