Chiamato il Daun a guerreggiare in Lombardia, gli succedé nel viceregno il cardinale Vincenzo Grimani, veneto.
Era finita per Napoli la guerra: ma l'occupazione di Comacchio da' soldati cesarei, la intimazione di Cesare al duca parmigiano di tenersi feudatario non più del papa ma dell'imperio, e infine il divieto al regno di pagare le tasse consuete al pontefice, mossero Clemente XI ad assoldare ventimila uomini d'arme sotto il conte Ferdinando Marsili bolognese, ed accamparli nelle terre di Bologna, Ferrara e Comacchio. Ciò visto, il Daun partivasi dalla Lombardia verso quella schiera, ed in Napoli si adunavano altre forze contro Roma. L'imperatore Giuseppe non voleva contese col papa, ma intendeva per quegli atti di guerra forzarlo a riconoscere sovrano di Spagna Carlo suo fratello. Perciò il Daun, procedendo contro que' campi, proponeva accordi al pontefice, il quale, alle risposte audace e saldo, mostrava confidare nella guerra. Strano perciò vedere un felice capo di eserciti invocar la pace, ed un papa le armi.
Alle ostinate ripulse procedendo le genti tedesche, presero con poca guerra Bondeno e Cento, circondarono Ferrara e Forte Urbano; e imprigionata parte delle milizie papali, fugati i resti, stanziarono ad Imola e Faenza. Clemente, sotto quelle sventure, e alle peggiori che minacciava l'esercito mosso da Napoli, piegò lo sdegno e, non più pregato, pregando accordi, accettò patti e pubblici e secreti, per i quali tutte le voglie del vincitore si appagavano. Fu vera pace negli atti scritti e nella mente degli uomini, ma tregua e inganno nell'animo del pontefice; il quale aspettava opportunità di rompere quegli accordi, che, non ratificati dalla coscienza, parevano a lui leggi di forza, durabili quanto la necessità.
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