Andarono soggetti al Santo Uffizio, l'anno 1699, fra Romualdo laico, Agostiniano, e suora Geltrude bizzoca di san Benedetto: quegli "per quietismo, molinismo, eresia; questa "per orgoglio, vanità, temerità, ipocrisia". Ambo folli, però che il frate, con le molte sentenze contrarie a' dogmi o alle pratiche del cristianesimo, diceva ricever angeli messaggieri da Dio, parlare con essi, esser egli profeta, essere infallibile: e la Geltrude, tener commercio di spirito e corporale con Dio, essere pura e santa, avere inteso dalla Vergine Maria non far peccato godendo in oscenità col confessore; ed altri assai sconvolgimenti di ragione. I santi inquisitori ed i teologi del Santo Uffizio avevano disputato più volte con quel miseri, che ostinati, come mentecatti, ripetevano deliri ed eresie. Chiusi nelle prigioni, la donna per venticinque anni, il frate per diciotto (attesoché gli altri sette li passò a penitenza ne' conventi di san Domenico) tollerarono i martori più acerbi, la tortura, il flagello, il digiuno, la sete; e alla per fine giunse il sospirato momento del supplicio. Avvegnaché gl'inquisitori condannarono entrambo alla morte, per sentenze confermate dal vescovo di Albaracìn, stanziato a Vienna, e dal grande inquisitore della Spagna; dopo di che il devoto imperatore Carlo VI comandò che quelle condanne fossero eseguite con la pompa dell'Atto-di-fede. Le quali sentenze amplificavano il santissimo tribunale, la "dolcezza", la "mansuetudine", la "benignità" de' santi inquisitori: e incontro a sensi tanto umani e pietosi la malvagità, la irreligione, la ostinatezza de' due colpevoli. Poi dicevano la necessità di mantenere le discipline della sacrosanta cattolica religione, e spegnere lo scandalo, e vendicare lo sdegno de' cristiani.
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