Giunto il corteggio, e consegnata la donna ad altri frati domenicani e teologi per le ultime e finte pratiche di conversione, ricomparve corteggio simile al primo per il frate Romualdo: ed allora gl'inquisitori sederono nella magnifica ordinata tribuna.
Compiute le formalità, bandito ad alta voce l'ostinato proponimento de' colpevoli, lette le sentenze in latino, prima la donna salì al palco, e due frati manigoldi la legarono al tronco, e diedero fuoco alle chiome, imbiotate innanzi di unguenti resinosi acciò le fiamme durassero vive intorno al capo: indi bruciarono le vesti, anch'esse intrise nel catrame, e partirono. La misera rimasta sola sul palco, mentre gemeva e le ardevano intorno e sotto i piedi le fiamme, cadde col coperchio del rogo; e scomparso il corpo, rimasero ai sensi degli spettatori i gemiti di lei; le fiamme, il fumo, che andavano ad oscurare l'alta croce di Cristo svergognata. Così fra Romualdo morì nell'altro rogo, dopo aver visto il martirio della compagna. Tra gli spettatori notavasi un drappello sordido, mesto, di 26 prigioni del Santo-Uffizio, voluti presenti alla cerimonia: soli fra tutti che piangessero di quei casi, perciocché gli altri, sia viltà, o ignoranza, o religion falsa, o empia superstizione, applaudivano l'infame olocausto. Erano i tre inquisitori frati spagnuoli: degli allegri assistenti non dirò i nomi, però che i nipoti, assai migliori degli avi, arrossirebbero; ma sono in altre carte registrati; che raramente le pubbliche virtù, più raramente i falli rimangono nascosti. Descrisse quell'atto in grosso volume Antonio Mongitore; e dal dire e dalle sentenze si palesò divoto e partigiano del Santo Uffizio: egli, lodato per altre opere e soprattutto per la Biblioteca siciliana, chiaro mostrò che la dolcezza delle lettere umane era stata in lui vinta dagli errori del tempo, e dalla intolleranza del suo stato: era canonico della cattedrale.
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