E i viceré vendevano feudi, titoli, preminenze; innalzavano al baronaggio i plebei purché ricchi; involgavano la dignità feudale. Perciò, all'arrivo del re Carlo Borbone, i feudatari, potenti quanto innanzi per leggi, erano per sé stessi, vili, corrotti, odiati e temuti: non come si temono le grandezze, ma le malvagità.
XVII. Rimane a dire della Chiesa. Chi scrivesse con verità ed ampiezza le vite ed opere de' pontefici, distenderebbe la storia civile dell'Italia; tanto si legano al pontificato le guerre, le paci, gli sconvolgimenti e mutamenti di Stato, la civiltà rattenuta o retrospinta. E, per dir solamente del nostro regno, le brighe de' pontefici arrestarono, poi spensero, il bene civile che faceva la stirpe sveva: i pontefici doppiarono i mali della stirpe angioina: i pontefici alimentarono le guerre domestiche sotto i re aragonesi. Niccolò III congiurò nel Vespro siciliano: Innocenzo VIII concertava la ribellione e la guerra baronale contro Ferdinando ed Alfonso: Alessandro VI non disdegnava di praticare con Bajazet, imperatore dei Turchi, per dar travagli ai regni cristiani delle Sicilie: i pontefici, nel lungo corso del viceregno, concitavano a discordia ora i reggitori ora i soggetti, come giovasse meglio alle pretensioni sterminate della Chiesa.
E poiché natura delle cose o provvedimento divino è il precipitare ai mali che ad altri si arrecano, furono que' pontefici, quanto più malevoli, tanto più tribolati ed infelici. Grandi sventure tollerò il papato in que' secoli: appena ristoravasi dalle divisioni e scandali dello scisma, che seguirono le dottrine di Lutero e la riforma; le guerre infelici, la prigionia di Clemente VII, gli atti del concilio di Trento non in tutto accettati dai re cristiani; la bolla di Coena Domini rifiutata, la così detta "Monarchia di Sicilia" rinvigorita, le rivoluzioni di Napoli per la inquisizione, il discacciamento de' nunzi, l'abolizione della nunziatura: ed in breve la scoperta ribellione delle podestà civili e delle opinioni all'imperio della Chiesa.
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