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      Gli archivi della monarchia furono mandati per sicurezza in Gaeta e Terracina. Il viceré, egli stesso, faceva segreti apparecchi di lasciar la città. Fra tante sollecitudini passavano i giorni.
      XXII. L'esercito spagnuolo procedendo traversò gli Stati di Roma senza che l'Infante entrasse in città, pregato dal pontefice ad evitargli contese cogli ambasciatori di Cesare: e per la via di Valmontone e Frosinone toccava quasi la frontiera del Regno. Ma prima ch'ei giungesse, altre armi sue posero il piede nelle terre di Napoli. Il conte Clavico, ammiraglio dell'armata spagnuola, salpata da' porti di Longone e di Livorno, arrivò con mostra potentissima di navi avanti alle isole di Procida e d'Ischia, le quali si arresero; però che poco innanzi, per provvido consiglio del Governo, erano state quelle isole, impossibili a difendere, sguarnite di Presìdi. Gli isolani, accolto lietamente il vincitore, giurarono fede all'Infante. Le navi spagnuole, scorrendo e combattendo lungo i liti della città, accrebbero, secondo il variar delle parti, le speranze o i timori.
      Cominciando le pratiche fra i Napoletani e gli uffiziali di quelle navi, si sparsero in gran copia nella città gli editti di Filippo V e di Carlo. Diceva Filippo aver prefissa la impresa delle Sicilie per amor de' popoli oppressi dalla durezza ed avarizia tedesca; ricordare gli antichi festevoli accoglimenti; credere (fra le contrarie apparenze o le necessità del governarsi) stabile a lui la fedeltà de' soggetti, e, se mutata, perdonare i falli e i tradimenti; confermare i privilegi alla città ed al reame, promettere d'ingrandirli; abolire le gravezze del Governo tedesco, scemar le altre; reggere lo Stato da padre; sperare né popoli ubbidienza ed amore di figli.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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