Compiuto nel duomo il sacro rito, continuò il cammino sino alla reggia; e passando innanzi alle carceri della vicaria e di San Giacomo, ricevute le chiavi in segno di sovranità, comandò aprir le porte per mandar liberi i prigioni: insensata grandezza! La città fu in festa; le milizie schierate nelle strade, o poste in guardia della reggia, erano urbane: i fuochi di allegrezza e le luminarie durarono tutta la notte.
Ma il giubilo de' cittadini non dissipava i timori di guerra. Si combatteva nella Lombardia, la vicina e ricca Sicilia fruttava a Cesare, un esercito d'imperiali campeggiava le Puglie, le maggiori fortezze del regno guardate da numerosi presìdi e da capitani onorati difendevano la bandiera e il dominio dell'Impero: abbondanti rinforzi sperava il viceré, e già seimila croati si dicevano in punto di arrivare a Manfredonia: i popoli, ora partigiani de' Borboni, muterebbero con la fortuna. Erano prospere a Carlo le condizioni di regno, non certe. Perciò il conte Montemar, visitatori e stretti i blocchi di Capua e di Gaeta, marciò con nuove schiere verso Puglia, ed unendosi al duca d'Eboli compose un esercito di dodicimila soldati, fanti e cavalieri, aiutati da molte navi che radevano i liti, ora più lente ora più celeri come in terra l'esercito. E l'Infante, nel tempo stesso, adoperando arti civili, chiamò con editto tutti i baroni del regno a giurar fede al nuovo impero; prefisse i tempi, minacciò le pene a' trasgressori. E giorni appresso, il 15 di giugno dell'anno 1734, fece pubblico il decreto di Filippo V che cedeva le sue ragioni antiche e nuove su le Sicilie, unite in regno libero, a Carlo suo figliuolo, nato dalle felici nozze con Elisabetta Farnese. Il quale nuovo re si fece chiamare Carlo per la grazia di Dio re delle due Sicilie e di Gerusalemme, Infante di Spagna, duca di Parma, Piacenza, e Castro, gran principe ereditario della Toscana.
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