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      Allorché il blocco della fortezza mutò in assedio erano in essa mille alemanni e cinquecento napoletani del battaglione che il duca di Monteleone formò: nessuni o pochi artiglieri, così che i Napoletani, per natura destri, furono esercitati a maneggiare il cannone: abbondavano armi, attrezzi, provvigioni di guerra e vettovaglie. E dall'o posta parte il duca di Liria dirigeva le offese con sedicimila spagnuoli, navi da guerra, armi, macchine, mezzi soperchianti; e però, aperta in breve tempo la trinciera di assedio, procedendo per cammini coperti verso le mura, alzò parecchie batterie di cannoni e mortari da percuotere in breccia la cittadella, e controbattere i cannoni della fortezza. Avanzavano gli approcci quando il duca Montemar venne ad accelerarne il fine ed a godere della vittoria; e poco più tardi, per le ragioni medesime e per fama di guerra, vi andò il re Carlo. Dopo il suo arrivo, moltiplicati i fuochi, cominciata la breccia e arrecato per le bombe danno e spavento alla città, il conte di Tattembach, governatore della fortezza, in consiglio de' capi del presidio propose di arrenderla, ma fu dai minori contrastato. Misera ed umile condizione di un comandante di fortezza vedere alcun altro degli assediati di sé più lento a desiderare gli accordi. Contrastanti le opinioni, e aggiunte al dechinare delle difese le discordie, sopravvenne la necessità di darsi prigionieri al nemico, e tutto cedere della fortezza. Pochi d'ambe le parti vi morirono: nulla si operò che fosse degno d'istoria. E dopo ciò, in tutto il reame, la sola fortezza di Capua, strettamente bloccata, alzava la bandiera di Cesare, stando su gli Alemanni il conte di Traun, su gli Spagnuoli il conte Marsillac, tra loro amici e in altre guerre compagni o contrari, prigioniero l'uno dell'altro, sbattuti dalla fortuna in vari casi, ma sempre in petto benevoglienti.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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