Due mesi appresso andò a Palermo per via di mare, giacché il proponimento di andar per terra fu distolto dall'asprezza de' luoghi, deserti di abitatori e selvaggi. Dopo magnifica entrata, Carlo, l'ultimo giorno di maggio, convocò nel duomo i tre "Bracci" o ceti del parlamento (il baronale, l'ecclesiastico, il demaniale), e tutti i notabili per nobiltà o grado: ed egli venuto in chiesa, e compiuti divotamente i riti sacri, montò sul trono, e ad alta voce (tenendo ferma la mano su i libri del Vangelo) giurò di mantenere i diritti del popolo, le ragioni del parlamento, i privilegi delle città: e, soddisfatto al debito di re, invitò i presenti a giurare obbedienza e fede al suo imperio. Tutti giurarono; il sacro patto fra i soggetti ed il re fu statuito in presenza del popolo e di Dio. Finita la cerimonia, si preparò per a terzo giorno nella chiesa istessa l'unzione e coronazione di Carlo, che fu simile alle precedenti di altri diciotto re coronati in quel tempio, ma più magnifica per pompa e ricchezza, perciocché la corona, pesante diciannove once (cinque di gemme, quattordici d'oro e di argento), costava un milione e quattrocentoquarantamila ducati. Fece coniare in abbondanza monete d'oro, le "onze", e di argento, le "mezze-pezze", col motto: "Fausto coronationis anno"; che i tesorieri per tutto il cammino dalla chiesa alla reggia gettavano a pioggia nel popolo. Ciò fu il 3 di giugno dell'anno 1735. Quattro giorni diede ancora alle pubbliche feste, e nel quinto il re, sopra ricchissima nave, seguitato da gran numero di altri legni, fece spiegar le vele per Napoli, dove approdò il giorno 12 tra le accoglienze universali e feste tanto prolungate, che volsero in sazietà e fastidio.
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