La giurisprudenza civile non mutò. Le leggi criminali variarono; ma, dettate ad occasioni e nello sdegno, per delitti più frequenti o più crudeli, non serbavano le convenienti proporzioni, così che mancava la giusta e sapiente scala delle pene. Il procedimento civile di poco migliorò; erano sempre confuse le competenze; e sempre necessaria a sciorre i dubbi l'autorità del principe: i ministri aggiunti, i rimedi legali, tutti gli arbitri del vicereale Governo duravano. Il Supremo Consiglio d'Italia fu abolito: il Collegio Collaterale cangiò in Consiglio di Stato, gli altri magistrati rimasero come innanzi, perché il re aveva giurato non mutarli. Di nulla migliorò il procedimento criminale; restando in uso il processo inquisitorio, gli scrivani, la tortura, la tassazione degli indizi, le sentenze arbitrarie, il comando del principe.
I difetti che ho toccato, e che in più opportuno luogo descriverò, cagionarono che i delitti, nel regno di Carlo, fossero molti ed atroci: nella sola città di Napoli numerava il censo giudiziario trentamila ladri; gli omicidii, le scorrerie, i furti violenti abbandonavano nelle province, gli avvelenamenti nella città, tanto che il re creò un magistrato, la "Giunta de' Veleni", per discoprirli e punirli. Prevalevano in quel delitto le donne, bastandovi la malvagità de' deboli, come piace alla nequizia de' forti l'atrocità scoperta.
XXXI. Tali erano i Codici. Carlo per paci e trattati con lontani regni ben provvide al commercio. Fermò concordia con l'impero ottomano; e per essa e per la riputazione del re cessarono le nemicizie coi Barbareschi. Fece nuovi patti di commercio e navigazione con la Svezia, la Danimarca, la Olanda: e gli antichi rinnovò con la Spagna, la Francia, la Inghilterra.
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