La Corte di Roma, per amore di Carlo e per buon consiglio di serbarsi amico re fortunato e vicino, concordò che scemassero le tre specie di immunità. Gli antichi beni della Chiesa, d'allora innanzi, pagassero la metà de' tributi comuni; i nuovi acquisti, l'intero: il censo dello Stato separasse dal patrimonio del clero le proprietà laicali confuse in esso per malizia o errore: le franchigie fossero ridotte; i favori d'uso rivocati. Si ristringesse alle chiese l'asilo, che rimarrà per pochi falli e leggieri. Definito lo stato ecclesiastico e ridotte le immunità personali, la giurdisdizione vescovile fosse circoscritta; la secolare di altrettanto ampliata: accresciute le difficoltà per le ordinazioni e le discipline de' cherici, a restrignere il numero de' preti. Un tribunale chiamato misto (perché di giudici ecclesiastici e laici), decidesse le controversie che nascessero dal concordato.
Le speranze de' sapienti e de' liberi pensatori furono in parte appagate, in parte deluse. Della investitura, della chinea, de' donativi, de' benefizi sul patrimonio ecclesiastico, dei vescovadi da ridurre dei preti e frati da minorare, della piena abolizione degli asili, come del fòro ecclesiastico e delle immunità, e, per dirla in breve, de' maggiori interessi della monarchia non si fece parola nei patti o nelle conferenze del trattato. Abbondava l'animo a' negoziatori napolitani; mancava la speranza del successo. Lo stesso popolo, lo stesso Carlo re, que' medesimi che traevano benefizio dell'assoluta libertà, ignoranti o divoti, non la bramavano.
XXXVI. Il Concordato diede motivo e principio a più grandi riforme: il Governo interpretando, estendendo, e talora soprausando que' patti, ordinò la giurisdizione laicale; restrinse le ordinazioni de' preti a dieci per mille anime; negò effetto alle bolle papali non accettate dal re; impedì nuovi acquisti, bandi impotenti le censure dei vescovi, se i regnicoli v'incorressero per adempimento di leggi o di comandi del principe.
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