Era Carlo ignorante, poco meno il Tanucci; entrambi, insufficienti ad anticipare la futura civiltà, coltivavano la presente e ne spandevano i doni e le regole. Oggi tal re, tal ministro, posti a governare nazioni, le farebbero grandi o felici. E però che la scienza amministrativa di allora era il catasto, essi l'ordinarono, introducendovi molte parti di statistica universale.
Posando l'opera su le volontarie rivelazioni, i semplici, gli onesti palesavano il vero; gli scaltri mentivano: fu mirabile sincerità ne' migliori dello Stato e negli ultimi del popolo; come le discordanze e le menzogne ne' curiali, ne' cherici, nei baroni. I privilegi di alcune città, mantenuti per gli editti di Filippo V e dello stesso Carlo; le terre feudali soggette alle proprie leggi; alcune immunità della Chiesa, riconosciute nel concordato, impedivano la celerità del lavoro: ma essendo salda e continua l'opera del Governo, il catasto fu compiuto, e' comunque imperfetto, triplicò la entrata pubblica; diede alcun ristoro alla classe più misera de' cittadini; molte passate fraudi rivelò, molte per lo avvenire impedì. E più sarebbe stato il benefizio, se il Tanucci o Carlo intendevano le regole della finanza. Fu mantenuto il testatico, la sola vita era cagion di tributo; si tolleravano gravezze alle spese ed all'entrate; molte rendite di doppio aspetto doppiamente pagavano al fisco, molte altre sfuggivano alle imposte; pagavano le arti e i mestieri, non pagavano le professioni dette nobili, come di medico, di avvocato, di giudice, per astuzia e brighe di costoro. Gli arrendamenti, specie di dazi indiretti, disordinavano le private industrie; quello del tabacco, vietando la coltivazione libera della pianta, per piccolo finanziero guadagno distruggeva gran frutto delle nostre terre.
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