Altre lettere segrete narravano al Montemar i dolenti fatti di Napoli; e fogli e ambasciatori ne informarono le corti di Francia e di Spagna, e l'Infante don Filippo, che guerreggiava nel Milanese contro gli eserciti savoiardi e tedeschi. Scomparve nel giorno istesso della fermata neutralità il naviglio inglese. Carlo, tardi provvedendo alla difesa della città, fortificò il porto, alzò trinciere e batterie intorno al golfo, le munì di cannoni e soldati. E ripensando alla patita ingiuria, vedendo suscitate contro Italia le ambizioni di tutti i principi, dubbio il fine della guerra, vacillante la fede, non mai certo il sacramento di alcun re, sperò assicurare la sua corona e la quiete del regno col volgere all'armi le proprie ricchezze, le nuove entrate del fisco, le passioni e gl'interessi del popolo. Ristaurò molte navi, altre fece di nuovo; fondò fabbrica di cannoni, archibugi, macchine di guerra; coscrisse novello esercito per province, affidandone i primi offici a' suoi soggetti; radunò armi e munizioni. Così preparato, mirando alle cose d'Italia, modesto e giusto reggeva lo Stato.
Il duca di Montemar, menomato degli aiuti di Napoli, divenne più timoroso verso il nemico, più veloce a ritirarsi; e 'l suo re incolpandogli le sventure di quella guerra, lo rivocò e il tenne disfavorito e lontano venti leghe dalla reggia e dalla città. Il conte di Gages, di maggior fama ed animo, venne capitano agli Spagnuoli: gli animò, li mosse, combatté più volte o vincente o perdente; ma, non pari di numero al nemico, si ridusse nel territorio di Napoli dietro al Tronto. Il fortunato Lobkowitz accampò sull'altra sponda, minaccioso così per le ordinanze dell'esercito, come per gli editti della sua regina.
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