Qui stavano in prima linea le squadre spagnuole, ed in seconda ed in riserva le napoletane. Il re aveva poste le sue stanze in Castel di Sangro. Era il verno al declinare. Lobkowitz aspettava i tumulti del Regno, e Carlo i benefizi del tempo, cioè scarsezza di viveri nel campo nemico, malattie, discordie. Stavano gli eserciti come in riposo.
XLII. Ma Lobkowitz, spinto dalle persuasioni del conte Thun, ambasciatore di Cesare in Roma (vescovo caldo di guerra, capo delle infelici trame del regno), e necessitato da' comandi della sua regina, ruppe le dimore e si apprestò agli assalti. L'entrata per gli Abruzzi era difficile perché rotte le vie, i monti coperti di neve, povero il paese, il nemico in presenza. Preferendo le strade per Ceperano e Valmontone, memorabili nelle passate conquiste di Napoli, chiamò a sé il Broun, e, abbandonate le regioni del Tronto, si avviò verso Roma. Carlo il sapeva innanzi per lettere del cardinale Acquaviva, suo legato presso l'apostolica Sede; il quale, scaltro e largo ne' doni, era informato de' disegni de' Cesarei, depoi che trovò nella casa del Thun chi gli tradisse i segreti del suo signore. Partito l'esercito alemanno, mosse quello del re, il primo per le molte vie dell'Umbria, il secondo per Celano e Venafro. Le apparenze della guerra mutarono, però che sembrando fuggitivi gli Alemanni, tanto animo si alzò nei contrari, che allegri e tumultuanti dimandavano a Carlo di combattere. Procedendo gli eserciti secondo i propri disegni, il conte di Lobkowitz, fece in Roma ingresso ambizioso, quasi trionfale, perciocché il papa e la plebe lo accolsero come felice in Italia, e come già incontrastabile conquistatore dei vicini reami delle Sicilie; tanto l'aspetto grande e feroce dei suoi Germani, il vestito barbarico, il parlar nuovo, parevano segni e promesse di vittoria.
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