In quella età più faceva l'ingegno che la scienza di guerra; i vasti ordinamenti erano rari ai capitani di esercito, fuorché a pochi privilegiati da natura ai quali è istinto il sapere. Se il Gages era a dì nostri, per sole imparate regole facea succedere alla prima schiera la seconda, che fosse aiuto nelle sventure e rinforzo ne' successi della battaglia: a segni convenuti, tutto l'esercito di Carlo attaccava la fronte del campo alemanno: scendeva il Gages dai monti, ed assalendo a rovescio i posti nemici, gl'incalzava e spingeva gli uni su gli altri: quello era l'ultimo giorno della guerra. Ma poiché la vittoria si arrestò a mezzo corso. Poté Lobkowitz raffrenare le paure, contenere i fuggitivi, ripigliare a Monte Spino, riordinarsi. E per avere perduto il monte Artemisio, tutte le posizioni degli Alemanni piegarono verso l'ala diritta del campo; il qual movimento fu cagione ed appoggio e maggior fatto.
Tornato l'uno e l'altro esercito all'usata lentezza, gli Alemanni per l'estranio clima infermavano, per penurie scontentavansi, per ingenita ribalderia desertavano; si assotigliava l'esercito. Premevano il cuore al conte Lobkowitz i danni dell'Artemisio, la mala fama che ne correva tra le sue genti e in Italia, i recenti fatti che svergognavano i vanti: ma in quel tempo il vescovo Thun accertava pronta nel regno la ribellione, sol che l'aiutassero poche forze; e la imperatrice mandava da Vienna comandi audaci ed altieri. Sì che Lobkowitz scrisse all'ammiraglio inglese, minacciasse Gaeta, e, incitando i popoli, corresse le marine del regno: spedì nuovamente negli Abruzzi alcuna sua schiera, piccola di numero, ardita, che alzasse grido di' vittoria, animasse i ribelli, devastasse le terre, uccidesse i fedeli a Carlo: mezzi nefandi.
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