Tutti i soldati di Carlo erano stanchi dal difendersi, dall'assalire, dalle tempeste del mattino, dalle incertezze del giorno, dalle stesse fatiche della vittoria. Sonava l'ora nona, e dalla prima luce si combatteva; e benché gli eserciti tornassero a' campi medesimi, i Borboniani avean vinto. Pertanto il re fece suonare a raccolta, e comandò che le schiere della prima fronte attendassero nelle antiche posizioni. Si computarono i danni, gli acquisti; tremila soldati di Borboniani, poco manco degli Alemanni, morti o feriti; di bandiere e di artiglierie, la perdita eguale d'ambe le parti; il grido e 'l sentimento della vittoria per Carlo. Il quale al dì seguente rendé grazie all'esercito, lodando gli Spagnuoli del valor pari all'antico, e i Napoletani di avere agguagliato i forti della guerra. Distribuì onori e danari, chiese a' soggetti, ed ottenne assai più della inchiesta, uomini, cavalli, vesti ed argento. Richiamò dall'Abruzzo il duca di Lavello con la sua schiera, giacchè gli Alemanni n'erano stati scacciati; sentì arrivati nel porto di Gaeta nuovi reggimenti spagnuoli, che, favoriti dal vento e dalla fortuna, traversando inavvertiti la flotta inglese, venivano in pochi giorni da Barcellona. Frattanto istruito dai passati pericoli, munì più fortemente l'ala sinistra ed ogni altra parte del campo, sì che dopo la battaglia tornò Carlo più potente nella forza degli eserciti, nella mente degli uomini.
XLVII. Di altrettanto indebolì la possanza, l'animo e la fama di Lobkowitz; l'ultima pruova infelice; i capi dell'esercito, come suole nelle avversità, contumaci; le penurie accresciute, i cavalli cadenti, gli uomini infermi o svagliati, imminente l'autunno; e per la guerra sventurata o varia di Lombardia, mancate le speranze di soccorso.
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