Pur non moveva per non dar mostra di timidezza per aspettare dal tempo e dal caso non preveduti favori. Così restò tutto l'ottobre; ma nella prima notte del novembre, tacito ed ordinato, avendo simulate nel giorno le apparenze di ferma dimora, e nella notte istessa i fuochi, le ascolte, le pattuglie, le voci de' campi, celeremente ritrasse l'esercito verso il Tevere, e lo valicò sopra due ponti, il Milvio ed un altro di barche, in breve tempo costrutto. Nel vegnente mattino il re, veduta la fuga del nemico, lo inseguì; ma il timore, sempre più celere della speranza, fece giungere i Borboniani al fiume quando gli Alemanni, già su l'altra sponda, rompevano i ponti con tanta prestezza e tanta guardia, che furono compiute le rovine sotto gli occhi dell'esercito nemico. Lobkowitz proseguì la ritirata. Carlo si fermò a Roma per rendere culto al pontefice, vedere le grandezze della città santa, e partire l'esercito in due: l'uno che, sotto del Gages, infestasse gli Alemanni, l'altro che seco tornasse nel reame. I Romani applaudirono al re con più giusti onori che prima a Lobkowitz.
Il re, partito di Roma, incontrò sul confine l'amata regina, e rimasti un giorno a Gaeta, entrarono in Napoli, dove la vera gioia e gli affetti scambievoli stavano in petto e sul viso al re ed a' soggetti. Quegli sapeva di avere adempiute le parti di capitano e di principe; sentivano i popoli di aver fornito a' doveri di cittadini e di sudditi, ne' quali sentimenti (sconosciuti agli schiavi e a' tiranni) risiede la felicità dell'impero e perfino qualche dolcezza della obbedienza. Non dirò le feste, perché il re ne vietò la pompa; era festa lo spettacolo e 'l contento di un regno salvato non tanto alla possanza degli eserciti, che dall'amore de' popoli.
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