Genova si chiuse ed armò; mancarono agli Alemanni gli aiuti di ricca e forte città; crebbe a loro il numero de' nemici: mutarono i disegni della guerra. La Francia, la Spagna, il re di Napoli mandarono ambasciatori, soldati e danaro alla eroica città; la quale ordinò molte schiere, per sua difesa, ed aiuto a' collegati. La guerra del seguente anno si sperava felice a' Borboni.
LVI. Se non che la improvvisa morte di Filippo V, e la mente ancora non palese del successore Ferdinando VI, tenevano sospesi gli animi e gli apparati. Ma il nuovo re delle Spagne, comunque desiderasse la pace, disse che seguirebbe le imprese del padre; spedì nell'Italia nuove milizie, confermò la guerra. Scrisse a Carlo lettere affettuose. La regina madrigna, nulla perdendo di ricchezze o rispetto, scese di potenza, ed andò a vivere privatamente in un castello distante dalla reggia.
Con varia sorte durò la guerra ancora due anni, così che per sette anni si tollerarono morti e danni infiniti, senza veruna di quelle estremità che menano alla pace volontaria o forzata; si scontravano i nemici e combattevano. Era ignorata, nel tempo del quale scrivo, la scienza che oggi chiamano "strategìa", ossia muovere l'esercito lontano dalle offese e dal guardo del nemico, per giugnere a certo punto determinato dalle ragioni della guerra, e debellare senza contrasto schiere, fortezze o città, conservare le proprie basi e linee, occupare le linee e le basi dell'oste contraria. Ché se i maggiori capitani de' secoli scorsi, e 'l contemporaneo principe Eugenio di Savoia ne usarono alcune parti, venne da genio naturale e sublime, non da sapere. Avvegnaché Federico Il di Prussia fu primo ad ampliare quelle pratiche, le quali, compiute ed ordinate da Buonaparte, esposte dal generale Iòmini e dal principe d'Austria, divennero dottrina e talento delle scuole; ma l'usarle ne' campi e raro ingegno di capitano.
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