Ed oltraciò i redditi baronali, benché di non giusta o di strana origine, erano sì tenacemente intrinsecati nelle consuetudini, che annientarli sarebbe apparsa ingiustizia per fino a coloro che ne avrebbero goduto. Perciò il re e il Tanucci, non toccando agli'interessi dei baroni, terre, entrate, diritti e proventi, ne depressero l'autorità; e rivocando molte giurisdizioni, soggettando ad appello le sentenze de' giudici baronali, diminuendo il numero degli armigeri, prescrivendo regole a punirli, snervarono il mero e misto imperio, principale istromento, della baronale tirannide. Poco appresso furono abolite parecchie servitù personali, quindi per legge stabilito di non mai concedere nelle nuove o rinovate investiture de' feudi la criminale giurisdizione. Si dichiararono con altra legge incancellabili dal tempo le ragioni delle comunità sopra le terre feudali, si concitarono i litigi; e i giudici, stando nella città sotto gli occhi del re, lontani della potenza de' baroni, in mezzo a secolo di franchigie, sentenziavano raro o non mai a danno de' comuni. Alle quali giustizie Carlo unì le arti di governo, invitando i maggiori baroni alla corte, e trattenendoli per lusso e vanità. E poiché i maggiori dimoravano nella città, i minori seguivano per ambizione l'esempio. I feudi restarono sgomberati de' suoi baroni; le squadre di armigeri, di custodia e potenza de' signori; divenute peso e fastidio, sminuirono; respiravano le province; la città capo del regno, assai popolosa, più cresceva; le case de' grandi, per soperchio lusso e l'abbandono delle proprie terre, impoverivano; danni non però eguali al beneficio della depressa feudalità. Mutando in parte i sentimenti del popolo, furono i baroni meno riveriti, la feudalità meno legittima, e a poco a poco si aprirono le strade ai maggiori successi.
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Tanucci Carlo
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