Furono ravvivate le ordinanze per la caccia, rammentate le pene, anche i tratti di corda ai trasgressori, popolati i boschi di fiere, moltiplicati i custodi, e, avanzando lo stesso genio smodato di Carlo, aggiunte altre foreste alle antiche. Aveva il re dodici anni. Gli esercizi e i diletti consumavano molte ore del giorno, e svagavano la mente dagli studi. Gli uomini di più fama e dottrina erano suoi maestri; ma ora il tempo, ora mancando il volere, nessuno o raro l'insegnamento, si vedevano crescere del re la forza e l'ignoranza, pericoli dello Stato nell'avvenire.
Fanciullo, non soffriva conversare co' sapienti, e fatto adulto, ne vergognava. Godeva mostrare o narrare come sapesse abbattere cignali o cervi, colpire a volo uccelli, frenar destrieri, esser sagacissimo alla pesca, primo alla corsa; talenti e millanterie da Barbaro tenute a pregio da genti del popolo educate a costume spagnuolo. Coll'andare degli anni avanzava il gusto incivile del re; e adulto appena (a sedici anni) divenuto libero sovrano di ricca e grande monarchia, sperdeva il tempo ne' piaceri della giovinezza e del comando tra giovani, come lui, atleti e ignoranti. L'attitudine a quegli esercizi, la forza, il viver dissipato, i gusti plebei, divennero ambizioni de' soggetti, e tanto più de' nobili, compagni al re o da lui ammirati nella corte. E tanto si appresero all'animo di lui quelle barbare costumanze, che non bastò a sbandirle lunga età, e regno pieno di varie fortune. Era già marito e padre quando in Portici, dopo ammaestrati al maneggio dell'armi certi soldati che nominò Liparotti, alzava bettola nel campo, e con vesti ed arnesi da bettoliere ne faceva le veci, dispensando cibo e vino a poco prezzo, mentre i cortigiani, e talvolta la moglie simulavano della bettola i garzoni e la ostessa.
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