La cerimonia era pomposa, perciocché un ambasciatore, nel 29 di giugno, giorno di san Pietro, offeriva quel dono in nome del re al pontefice, che, negli atri della basilica vaticana ricevendolo diceva: - essere il censo a lui dovuto per diretto dominio sul regno delle due Sicilie. - In quell'anno, mentre il principe Colonna, gran contestabile del regno e ambasciatore del re, cavalcava alla basilica, disputazione di precedenza tra i servi dell'ambasciatore di Spagna e del governatore di Roma produsse nel popolo ivi adunato moti di calca e romori di voci, che subito quietarono. Pure, terminata la cerimonia, l'ambasciatore riferì le popolari turbolenze al re che, per dispaccio del suo ministro, rispose:
Le controversie alla occasione della chinea, hanno afflitto l'animo divoto del re, perché, a cagione de' luoghi, del tempo, delle circostanze potevano apportare disgustose conseguenze da turbare la quiete dei due sovrani e de' due Stati. E poiché l'esempio ha dimostrato che un atto di sua mera divozione, qual è il presente della chinea, può essere motivo a scandalo ed a discordie, egli ha deliberato e risoluto che la cerimonia cessi per lo avvenire, e che a quell'atto di sua divozione verso i santi apostoli egli adempisca quando gliene venga desiderio per mezzo del suo agente o ministro. Gli esempi, la ragione, le riflessioni, le cautele, la umanità, la rettitudine, hanno concorso a muovere il regio animo a tale deliberazione, di quell'atto dipendendo unicamente la forma dalla sovrana volontà, e dall'impulso di sua pietà, e della religiosa compiacenza. Questi sensi di figliale venerazione verso il capo supremo della Chiesa sieno comunicati alla corte di Roma. Da Napoli 29 di luglio del 1776
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