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      Perciò si leggono di quel rempo molte prammatiche o dispacci repressivi della giurisdizione baronale; e, a costo ad essi, altri ne mantengono le franchigie e scemano le taglie; così che per adoa e rilevio (sono i loro nomi) pagavano i baroni più gravati il sette per cento di rendita, mentre i cittadini più favoriti il venti, la comune il trenta, altri il quaranta o il cinquanta, e alcuni miserrimi il sessanta; si vedevano sostenute le decime feudali, le angarie, tutta la congerie degli abusi che dicevano diritti. Di modo che i paesi feudali si palesavano al primo vederli per la povertà delle case, lo squallore degli abitanti, la scarsità de' comodi e delle bellezze cittadine: ivi mancavano tutti i segni della civiltà, casa di pubblici negozi, fòro, teatro; ed abbandonavano le note della tirannide e della servitù, castelli, carceri massicce, monasteri e case vescovili sterminate, altri pochi palagi vasti e fortificati tra numero infinito di tuguri e di capanne. Lo storico meritissimo Giuseppe Maria Galanti temeva dir cosa non credibile che nel feudo San Gennaro di Palma, distante quindici sole miglia (cinque leghe) da Napoli, visitato da lui nel 1789, abitassero in case i soli ministri del barone, e che il popolo, duemila uomini, si riparasse come bestie dalla inclemenza delle stagioni sotto graticci o pagliaie, e nelle grotte. Tal'era la condizione dei feudi: e frattanto in un reame che numera duemila settecento sessantacinque città, terre, o luoghi abitati, soli cinquanta nel 1734, e non più di duecento nel 1789, non erano feudali. Ventura che i feudatari, inciviliti dal secolo, vergognavano delle peggiori pratiche di padronaggio.
      XX. Le riferite leggi su l'economia dello Stato furono le sole in trent'anni degne di memoria.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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