L'amministrazione e la finanza durarono, come a' tempi di Carlo, rozze o servili; non giovando a noi gli esempi di altri regni e della vicina Toscana, patria del Tanucci, dove Pietro Leopoldo promulgava l'affrancazione de' possessi, la divisione delle terre, lo scioglimento della servitù prediali, e (sua vera gloria) la libertà del commercio. Meglio in Napoli fu provvisto a' giudizi ed a' magistrati, parte di Governo che appelliamo giustizia. Ristretta per nuovi provvedimenti la giurisdizione de' baroni e 'l numero degli armigeri baronali, cresceva di altrettanto la potestà regia e comune; ma con essa l'autorità della curia, ormai sfrontatamente disonesta e pericolosa. Parecchie ordinanze intesero a frenare que' vizi, soggettando i curiali a studi, ad esami, a discipline; moderandone l'avidità per tariffe, la malvagità per minacce; svegognandoli de' nomi di cavillosi, "ignoranti", "scostumati". Ma non ostante valevano gli usi antichi, e la curia ingrandiva d'uomini d'ogni specie, anche di plebe, togati.
Furono i matrimoni spientemente regolati da nuove leggi, le quali afforzando l'autorità paterna, vietando le querele di stupro per seduzione, invalidando le promesse e i giuramenti innanzi al sacerdote o all'altare, svanivano le insidie delle donne, le fughe degli sposi, i parentadi ineguali, con vantaggio de' costumi e della quiete delle famiglie.
Statuto di maggior grido regolò i giudizi. Da che tra noi le magistrature sederono prime o più possenti tra gli ordini dello Stato, elle, sdegnando il dire comune e semplice de' ragionamenti, presero lo stile dell'autorità e del comando; la quale superbia velando la ignoranza di alcuni giudici, l'abitrio degli altri, grata quindi a tutti, fece che le sentenze altro non fossero che intimate dichiarazioni di volontà e d'imperio.
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