E poiché ad uomini avviliti nella servitù più costa il pensiero che l'obbedienza, il popolo restò cheto sino a quando dal miglior Governo de' due Borboni e dall'avanzato universale ingegno dirozzate le menti, mal soffriva que' giudizi; dicendo che mascheravano con la brevità del comando le ingiustizie, la venalità, le ambizioni de' giudici. Nuova legge venne a quietare le sollecitudini del popolo: prescrivendo a' magistrati, ragionassero le sentenze, dimandassero al re nuova legge se mancava nei codici, o il vero senso di alcun'altra, se dubbio. E allora i magistrati del regno ammutinarono, dicendo offesa la dignità, la indipendenza dei giudici: opporsi, disobbedire, rassegnare gli officii, furono i primi tumultuosi consigli; ma dipoi, sperando che i richiami e le brighe bastassero a rivocare la ingrata legge, riserbando per la estremità de' casi gli estremi partiti, attesero a far chiare le loro ragioni. L'immenso numero de' curiali, per ignoranza o adulazione o amore alle discordie, accompagnava e accresceva il grido de' giudici.
Il supremo consiglio, primo de' magistrati, era ordinato in quattro sezioni chiamate Ruote; e quando mai, per gravezza o dubbietà di alcuna lite, tutte in una si raccoglievano, tanta sapienza era creduta in quel consesso che i suoi giudizi avevano forza di legge. E nel caso presente il consiglio, nelle quattro ruote congregato, espose al principe gli errori e i danni dei nuovo statuto, con audace ragionamento; e pubblicò lo scritto. Gli uomini più dotti sostenevano la sapienza del decreto; ed allora Gaetano Filangeri, della età che non compiva ventidue anni, venne la prima volta al cospetto dei pubblico per un'opera che intitolò: Riflessioni politiche su la legge del 23 di settembre del 1774, e dimostrò che la libertà dei cittadini e la sovranità dell'imperio consistendo nella piena esecuzione delle leggi, l'arbitrio dei magistrati era tirannide sopra il popolo, ribellione al sovrano: piacque lo scritto e presagì la futura gloria del giovine.
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