La debilità del ministro, appigliata come avviene in dispotiche signorie a tutte le membra dello Stato, agevolò le speranze dell'Acton.
XXVI. La corte di Roma quando vide Napoli governato da ministro debole alle contese, propose novello concordato; ed accettata l'offerta, inviò per le sue parti monsignor Caleppi a riferire pretensioni ardite e sterminate; ma pure si concordarono ventidue punti, rimanendo controversia su la nunziatura e per la elezione dei vescovi. Voleva il papa che avessero i nunzi giurisdizione, uomini armati, carceri; e in quanto a' prelati, che, proposti dal re, fossero da Roma riconosciuti "degni ed accettabili per giudizio o almeno in coscienza del pontefice"; formule tra le usate, con le quali era stata per secoli esercitata la tirannide pontificale; perciò non accette. E tirando a lungo e a fastidio le contese, rotto il congresso, fu il Caleppi, nunzio e negoziatore, discacciato dal regno. L'ultima gloria del ministro Tanucci era stata l'abolizione della chinea; l'ultima del Caracciolo fu la descritta resistenza alla corte di Roma; quelle erano le libertà, l'ardire, il talento del tempo. Mentre duravano le discordie, si andava rammentando ad onore del ministro ch'egli da viceré in Sicilia sbandì il Santo Uffizio, ed applaudì al popolo palermitano, che, impedito a distruggere il palazzo della inquisizione, ruppe in pezzi e disperse la statua di marmo di san Domenico, bruciò gli archivi, ed atterrando le porte delle carceri condusse liberi e trionfanti gl'infelici che vi stavano chiusi. Ne' quali tumulti furono visti audacissimi ed implacabili i più anziani, canuti e curvi sotto il peso degli anni, ma che, ricordando l'"atto di fede" del 1724, raccontavano ai giovani, per più accenderli, le sventure di Geltrude e di frà Romualdo, riferite nel primo libro di queste istorie.
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