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      Calo XXVIII. I turbini, le tempeste, i fuochi de' vulcani e degli incendii, le pioggie, i venti, i fulmini accompagnavano i tremuoti; tutte le forze della natura erano commosse: pareva che, spezzati i legami di lei, quella fosse l'ora novissima delle cose ordinate. Nella notte del 5 di febbraio, mentre scoteva la terra, l'aeremoto rompeva e balestrava le parti elevate degli edifizi; un campanile in Messina fu scapezzato, un'antica torre in Radicena fu mozzata sopra la base, ed un rottame (tanto massiccio che tiene mi seno parte della scala) sta nella piazza dove fu lanciato, e lo mostrano per maraviglia al forestiero; molti tetti o comici non caddero su le rovine del proprio edifizio, ma scagliati dal turbine andarono a colpire luoghi lontani. Intanto che il mare tra Cariddi, Scilla e le piaggie di Reggio e di Messina, sollevato di molte braccia, invadeva le sponde, e ritomando al proprio letto trascinava greggi ed uomini. Così morirono intorno a duemila della sola Scilla. i quali stavano sulla rena o nelle barche per campare da' pericoli della terra; il principe della città, ch'era tra quelli, scomparve in un istante; né i servi, o i parenti, o le promesse di larghissimi premi poterono far trovare il cadavere per onorarlo di alcuna tomba. Etna e Stròmboli più del solito vomitarono lava e materie, disastri poco avvertiti perché assai men gravi degli altri che si pativano; il Vesuvio durò nella quiete. Fuoco peggiore de' vulcani veniva dagli accidenti del tremuoto, avvegnaché ne' precipizi delle case, le travi cadute su i focolari bruciavano, e le fiamme dilatate dal vento apprendevano incendi tanto vasti, che parevano fuochi uscenti dal seno della terra; donde le false voci e le credenze di ardori sotterranei.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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