Tanto più che udivano fremito e rombo comé di tuono, talora precedere gli scuotimenti, ra accompagnarli, ma più sovente andar solo e terribile. Il cielo nubiloso, sereno. piovoso, vario, nessun segno dava del vicino tremuoto; le note di un giorno fallavano al vegnente, ed altre si citavano fino a che fu visto che sotto qualunque cielo scuoteva la terra. Comparve nuova tristezza; nebbia folta che offuscava la luce del giorno e addensava le tenebre della notte, pungente agli occhi, grave al respiro, fetida, immobile, ingomberante per venti e più giorni l'aere delle Calabrie; indi melanconie, morbi, ambasce agli uomini ed a' bruti.
XXIX. Incomincio racconto più mesto: la miseria degli abitanti. Al primo tremuoto del 5 di febbraio quanti erano dentro le case della Piana morirono, fuorché i rimasti mal vivi sotto casuali ripari di travi o di altre moli che nelle cadute inarcarono: fortunati, se in tempo dissepolti; ma tristissimi se consumarono per digiuno l'ultima vita. Coloro che per caso stavano allo scoperto furono salvi, e nemmen tutti; altri rapiti nelle voragini che sotto ai piedi si aprivano, altri nel mare dalle onde che tornavano, altri colti dalle materie proiettate dal turbine, infelicissimi i rimanenti, che miravano rovinate le case, e soggiacenti la moglie, il padre, i figliuoli. E poiché, anni dopo, io stesso ragionai co' testimoni della catastrofe e con uomini e donne tratte dalle rovine, potrò, quanto comporta l'animo e l'ingegno, rappresentare le cose morali de' tremuoti delle Calabrie, come finora ho descritto più facilmente le parti fisiche e materiali.
Alla prima scossa nessun segnale in terra o in cielo dava timore o sospetto; ma nel moto ed alla vista dei precipizi, lo sbalordimento invase tutti gli animi, così che, smarrita la ragione e perfino sospeso l'istinto di salvezza, restarono gli uomini attoniti ed immoti.
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