In dieci mesi precipitarono duecento tra città e villaggi, trapassarono di molte specie di morte sessantamila Calabresi; e in quanto a' danni, non bastando l'arte o l'ingegno a sommarli, si dissero meritamente incalcolabili: furono al giusto i nati, non pochi e maravigliosi i matrimoni, i delitti molti ed atroci; i travagli, le lacrime infiniti.
XXXII. Ne' primi giorni dell'anno 1784 venne in Napoli, sotto nome privato, l'imperatore Giuseppe Il; il quale, rifiutati gli onori debiti al grado, e le feste che la reggia preparava, dimandò chi gli fosse guida e maestro ad osservare le cose notabili della città, e dalla regina ebbe Luigi Serio, cultore delle lettere, dotto, ameno, eloquente, Giuseppe bramò visitare le recenti rovine delle Calabrie, ma lo ritennero i disagi del cammino, la stagione del verno, e 'l mancar di strade regie o buone. Rividde que' Napoletani (più conti per sapienza e per civili virtù) che aveva altra volta conosciuti; e, rammentando loro i disegni filosofici e arditi che egli faceva per il Governo dell'impero, si partì, lasciando fama egregia e benedetta.
Agli esempi di lui e di Leopoldo granduca della Toscana, desiderò la regina di Napoli, ed invogliò il re di correre la Italia; ma la superbia de' Borboni non tollerando nomi privati, piccolo corteggio, fasto civile, viaggiarono con pompa regia: e il dì 30 di aprile dell'anno 1785 imbarcarono sopra vascello riccamente ornato, che, seguito da altre dodici navi da guerra, volse a Livorno; non tocchi gli stati di Roma per disdegno di riverire il pontefice, allora nemico. Arrivati in porto, furono subito visitati da' principi della Toscana, coi quali passarono a Pisa e Firenze. Fu rinnovato in Pisa il vecchio arringo del ponte, ma senza gli usi guerrieri di età più maschia; sì che a' molli giostratori e riguardanti fu scena e festa.
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