Durando le discordie non si poté ridurre ad una le tre assemblee; e all'ultima sconvenendo il nome di Terzo stato, si chiamò "Assemblea dei comuni", poi "nazionale". Lesse i mandati, e trovò che i commettenti dimandavano: il governo della Francia regio; la corona ereditaria in linea mascolina; la persona del re sacra, inviolabile; il re depositario del potere esecutivo; gli agenti dell'autorità responsabili; le leggi solamente valide quando fatte dalla nazione, confermate dal re; necessario a' tributi l'assentimento nazionale; sacra la proprietà, sacra la libertà de' cittadini. E tutti chiedevano che i presenti Stati generali dessero legge durevole al regno, e che le succedenti convocazioni fossero certe e prefisse.
Questi erano i mandati e le speranze de' Francesi l'anno 1789: documento e gloria di quella età e di quel popolo. Fu vista irreparabile la riforma dello Stato, fuorché dal re, da' nobili, dal clero, accecati da' diletti del dispotismo. Il 20 di giugno, impedita dalle guardie del re all'Assemblea nazionale la entrata nella sala delle sue adunanze, ella, dopo inutile pregare, si ricoverò in un vasto edifizio destinato a giuochi di palla; e là in piede (anche i vecchi e gl'infermi, un giorno intero) assunsero lo Stato; si dessero permanenti sino a che avessero dato alla Francia durevole Statuto; e giurarono. L'adunanza, il luogo, la dichiarazione, il giuramento, erano primi atti di certa rivoluzione. Forza e mente a que' moti fu Gabriele Onorato Ricchetti conte di Mirabeau, di seme italiano, nobile, ma deputato del Terzo stato della Provenza, egregio per eloquenza e per i trovati della politica, passionato e campione della libertà, ma di quella che volevano i bisogni e i costumi della Francia.
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