E frattanto l'ammiraglio La Touche condusse la flotta, quattordici vascelli da guerra, come in porto amico o disarmato; gettò le ancore del maggior vascello a mezzo tiro dal castello dell'Ovo; gli altri vascelli, in linea di battaglia ed ancorati, spiegaronsi nel porto. Popolo immenso guardava; e le mi1izie e i legni armati di Napoli erano in punto di guerra, quando il re mandò per dimandare all'ammiraglio il motivo di quello arrivo e di quelle mostre; e rammentare l'antico patto, onde a sei vascelli solamente era libero entrare in porto. La Touche, dicendo risponderebbe, inviò legato (di alto grado, però che onorato nel tragitto dagli spari continui della flotta), il quale, con lo scritto che recava e col discorso chiedendo ragione della rifiutata accoglienza dell'ambasciatore, e delle pratiche ostili presso la Porta, proponeva la emenda di que' falli, o la guerra.
Il re unì consiglio; e sebbene gli apparati di resistenza fossero maggiori delle minacce, sì che La Touche sarebbe stato perdente o fuggitivo, pure la regina, dicendo pieno di giacobini e nemici il regno, pregava pace; la secondavano i timidi consiglieri; aderiva il re. E subito fu manifestato per detti e lettere accettar ministro Makau, riprovare le pratiche per la Porta, richiamare a castigo il legato di Napoli presso quella Corte, spedire ambasciatore a Parigi, promettere neutralità nelle guerre di Europa, essere amici alla Francia. La prima codardìa, suggerita da mal nati sospetti, fu stipulata in quel giorno. E nel giorno istesso La Touche salpò; ma poco appresso, colpito da tempesta, si riparò nello stesso golfo di Napoli, dove chiese ristaurare le sdrucite navi, rinnovar l'acqua, mutare i viveri, praticare nel porto; prieghi onesti a re amico, spiacenti al Governo di Napoli, ma innegabili.
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