Cresciuto l'odio pubblico per il ministro e per la regina, cominciato allora per il re (non bastando la infingardaggine a scusarlo de' mali che si facevano col suo nome), circolavano contro tutti e tre dicerie plebee, spregianti la maestà de' principi, ed incitatrici allo sdegno di quei potenti. Dopo la morte compianta del viceré, l'universale sperando la caduta dell'odiato ministro per lo innalzamento de cavalier de' Medici, nobile di casato, sciolto, come li vuole fortuna, da' ritegni della coscienza, e già sul cammino della civile grandezza, rammentava il celere corso de' sostenuti offizi, e lo diceva degno di offizi maggiori, tanto più ne' presenti pericoli dello Stato. Il quale grido, che quando è di popolo raccomanda, rinforzando l'ambizione del giovine, gli attirò sguardi significanti della regina, biechi del ministro; tanto più che questi nella Corte e nello Stato non vedendo altro uomo che sollevasse né manco il desiderio a quella altezza, divisava che lo spegner quel solo gli era certezza e durata di fortuna.
Sapeva il modo: l'accusa di maestà; ma bisognavano tempo e ordinamenti alla calunnia. Fra i condannati dalla Giunta era un Annibale Giordano, professore di matematica, egregio per ingegno, malvagio per natura, usato ed accetto in casa Medici. Egli (non è ben chiaro se richiesto o scaltro) accusò il cavalier Medici di complicità nella congiura; ma il ministro Acton, tenendo celato il foglio, premiato il delatore, impostogli secreto, adunò altre accuse, sottoscritte del nome degli accusatori, o senza nome con la promessa di palesarlo quando al reo fosse tolta la smisurata autorità di reggente. Unite le carte in processo, andò il ministro a pregare i due sovrani di ascoltarlo in privato; e, concessogli, disse - Corrono tempi tristi e difficili, spesso la fedeltà confusa con la fellonia, il vero col falso; se non credi alle accuse, pericola lo Stato; e, se le credi, adombri la quiete de' principi, e forse offendi l'onestà e la giustizia.
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