Non alcuno fra tanti dissentì, e solamente aggiunsero accuse alle accuse del ministro; malvagi o timidi per meritata sorte delle tirannidi; mancar di schietto consiglio nei bisogni maggiori. Fermarono, porre sotto giudizio il cavalier de' Medici e quanti altri, nobili o no, fossero colpevoli. La Giunta di Stato, quella medesima tanto sollecita nel punire che non aspettò per Tommaso Amato le lettere di Messina, e tanto spietata che uccise tre giovanetti ai quali appena ombrava le gote dell'adolescenza, non fu creduta bastevole alla voluta speditezza del processo ed al rigore; e si temeva l'aderenza de' giudici al cavalier de' Medici, sino allora giudice anch'esso della Giunta, e severo contro que' congiurati che ora dicevano suoi compagni. La Giunta fu sciolta, e ricomposta di giudici peggiori, avvegnaché, mantenuti Vanni e Giaquinto, furono messi alle veci di Cito, Porcinari, Bisogni, Potenza, il magistrato Giuseppe Guidobaldi, Fabrizio Ruffo principe di Castelcicala, ed altri famosi per tristizie. Castelcicala in quel tempo ambasciatore del re a Londra venne allegro del nuovo uffizio che davagli, diceva, opportunità di provar la fede a' sovrani, e sfogare lo sdegno proprio contro i ribelli al trono ed a Dio. La regina festosamente lo accolse, però che un principe inquisitore di Stato avvalorava la sentenza: dover ella distruggere l'antico errore che riputava infami le spie, cittadini veramente migliori perché fedeli al trono e custodi alle leggi. Quindi nominava marchese il Vanni, fregiava dell'Ordine Costantiniano i delatori più tristi e diffamati; e solo ad essi, disegnandoli col nome di "meritevoli", dava gli offizi dello Stato.
L'insita loquacità della regina, cui abbiamo debito di aver saputo i secreti parlari dell'Acton, del re, di lei stessa, svelò il consiglio di Caserta alla marchesa di Sammarco dama tra le prime, confidente e compagna negli amori, dicendole che il fratello cavalier de' Medici (giacobino, che sarebbe, se lo aiutasse fortuna, il piccolo Robespierre) cospirava contro il trono.
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