Promesse maggiori fossero fatte a' baro ni ed a' nobili che venivano alle bandiere, o assoldavano buon numero di vassalli. Andavano gli editti nelle province con la fama dell'esempio; imperciocché nel duomo della città, alla cappella di San Gennaro, cominciato il sacro triduo, il re con la famiglia, i grandi della Corte, i magistrati e i ministi vi assisterono di continuo, seguìti dalle classi minori e dal popolo, sì che il vasto tempio non capiva la folla dei supplicanti. Così pure nelle province; né mai forse tanti voti caldi e sinceri andarono al cielo quant in que' giorni: indizio di pericolo. I sermoni (tanto più de' missionari e de' frati) furono ardenti; dipingendo i Francesi con immagini atroci, persuadendo contr'essi non che assolvendo gli atti più fieri; santificata la guerra di distruzione, richiamate ad uso ed a merito le immanità della barbarie. E peggio ne' confessionali, dove senza i ritegni della civiltà aguzzavano gli odi nel cuor di plebe ignara e spietata. Il seme, che poi fruttò strage infinita, fu sparso in quell'anno.
XXII. Accorrevano d'ogni parte i soldati con voglia tanto pronta che la diresti da repubblica non da signoria. E quando l'esercito fu pieno, andarono trenta migliaia ne' campi ed alloggiamenti della frontiera per guardia e minaccia. La difesa del regno divenne studio comune; ma essendo in quel tempo scarse e rare per noi le cognizioni di guerra, variavano le opinioni e i disegni. Divise le cure tra i capi della milizia, altri provvedendo ad una parte della frontiera, altri ad altra, si moltiplicavano le opere e le spese, vagavano infinite idee sopra infiniti punti; mancava il concetto universale di quella guerra. Ed oltraciò, traendo regole dalla storia più che dall'arte, temevano il nemico dalle sponde del Liri, non da' monti degli Abruzzi, e disponevano i campi e munimenti così che la parte meglio guardata fosse quella del fiume.
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