Non farà quindi a' dì nostri maraviglia che il maggior legame delle società, la fede pubblica, veggasi sciolto e spregiato da' popoli; l'esempio cominciò da coloro che sopra gli uomini possono per isterminata forza di imperio e di opinioni. Ferdinando di Napoli e Pio VI maturavano il momento di prorompere, massimamente che udirono tolto a Mantova l'assedio con tanta celerità da' Francesi, che mancò tempo, non che a trasportare, a distruggere le immense artiglierie che munivano le trincere. Cacault, visti gli apparati guerrieri, dimandò al pontefice, al quale era ministro, i motivi dell'armamento e n'ebbe risposte lente, ingannevoli, ma nuove protestazioni di amicizia e di pace. Venne in Napoli, e qui, per troppo sdegno meno finto il discorso, udì che la occupazione di Pontecorvo era stata accordata col sovrano del luogo; che se i nemici del papa entrassero ne' suoi Stati, vi entrerebbero per altra frontiera i Napoletani; ma che frattanto rimarrebbe fede all'armistizio. Cacault, delle risposte dissimulate del pontefice, altiere del re, menzognere di entrambo, avvisò il Governo di Francia e il generale d'Italia. E si stava in punto delle mosse quando giunse nuova che Buonaparte, visti gli errori di Wurmser, assaltate or l'una or l'altra le divise squadre imperiali, per tre battaglie le ruppe, e ritornò all'assedio di Mantova, trovando nelle trinciere gran parte de' munimenti colà rimasti; però che tanto celere fu la vittoria, che mancò tempo al presidio, come poco innanzi era mancato agli assediatori, di trasportare o distruggere macchine ed opere. Tremarono i Governi contrari alla Francia, quanto più mentitori e superbi, tanto divenuti più timidi e vili. La Corte di Roma riprotestò l'amicizia, ma i Francesi occuparono le Legazioni, e non concederono sospension d'armi che a patti gravi per la Santa Sede.
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