Egli perciò distruggesse il centro della unità romana, e, senza infiammare il fanatismo delle coscienze, rendesse odiato e spregevole il governo de' preti; sì che i popoli vergognassero d'obbedirgli, e 'l papa e i cardinali andassero a cercare asilo e credito fuori d'Italia". Ma nella mente di Buonaparte i tempi e i destini di Roma non erano maturi.
Le schiere di lui, Francesi e Italiani delle nuove repubbliche, fugati facilmente i papalini, occuparono le tre Legazioni, parte delle Marche, Perugia e Foligno. Buonaparte in Ancona ordinava meno la guerra che la politica degli Stati nuovi, quando il principe di Belmonte, ambasciatore di Napoli, gli riferì essere desiderio del suo re che l'armistizio tra 'l papa e la repubblica fosse guida e principio della pace. E poiché Buonaparte, numerando i sofferti oltraggi, diceva impossibile l'adempimento di quel desiderio, il principe, per semplicità o astuzia, ma incauto, mostrò i mandati del suo Governo; e il generale vi lesse: "Degli affari di Roma essere il peso così grave all'animo del re, ch'egli in sostegno degli amichevoli offici avrebbe mosso l'esercito". Al che l'altro: - Non ho, tre mesi addietro, abbassato l'orgoglio pontificale, perché supposi il re di Napoli confederarsi contro la Francia, in tempi ne' quali guerra maggiore impediva rispondergli. Oggi, (senza scemare gli eserciti acquartierati, solo per prudenza, incontro all'Austria) trentamila Francesi sciolti dall'assedio di Mantova e quarantamila già mossi dalla Francia stanno liberi e vogliosi di guerra. Se dunque il re di Napoli alza segno di sfida, voi ditegli che io l'accetto. - Cosi a voce. Rispondendo alla nota scrisse cortesemente, essere gravi i mancamenti del pontefice, più grande la modestia della repubblica; trattar quindi la pace, ma togliendo a Roma le armi temporali e confidando alla sapienza del secolo vincer le sacre; essergli gradevole aderire alle commendazioni de' sovrani di Napoli e di Spagna.
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