La pace con Roma fu poco appresso conchiusa in Tolentino; e per essa il pontefice, oltre milioni di danaro e cavalli ed armi e tesori d'arti e di lettere, perdé i domini delle Legazioni e della fortezza di Ancona; restò impoverito, adontato e scontento. Gli Stati passati alla Francia ottennero di ordinarsi a repubblica per legge; gli Stati vicini, per tumulti. E nella stessa Roma i cittadini, ricordando la gloria, senza la virtù, degli avi, si levarono parecchie volte a ribellione; ma perché pochi, e imprigionati i capi, dispersi gli altri, fu sempre misera la fine. La plebe parteggiava dal pontefice, non per affetto, ma per impeto cieco, disonesti guadagni e impunità. Era dicembre [1797]. Alcuni patriotti (così erano chiamati gli amanti di repubblica), inseguiti da birri, fuggirono per asilo nella casa dell'ambasceria di Francia; e con seco entrarono i persecutori ed alcuni del popolo. Il luogo, gli usi, l'onore di proteggere gli oppressi, e l'aura e il nome francese, fecero che tutti dell'ambasceria si ponessero a scudo de' fuggiti; ma quelle cose istesse, e l'aspetto di ragguardevoli personaggi nulla ottennero dagli assalitori, i quali uccisero il generale Duphot, chiaro in guerra, e minacciarono l'ambasciatore Giuseppe Buonaparte, fratello al vincitore d'Italia Nella città si alzò tumulto; nel Vaticano niente operavasi a sedarlo, né a punire o ricercare gli assassini di Duphot. Era scorso il giorno; molte lettere aveva scritte l'ambasciatore a' ministri di Roma; nessun uomo, nessun foglio del Governo rassicurava gli animi e le vendette. Perciò, abbassate le insegne di Francia, partirono da Roma i Francesi, e tornò lo stato di guerra. Il Governo romano, a questi aspetti di nemicizia, spedì oratori al ministro di Francia, e lettere a' potentati stranieri, delle quali caldissime e preghevoli al vicino sovrano delle Sicilie.
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