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      Le nostre case stanno in lutto; genitori, sorelle, parentado, non troviamo quiete, e dalla prima orrida notte non spunta riso da' nostri labbri. Senta pietà di noi, ci renda i figli e la pace; e Dio la rimuneri di queste grazie con la felicità della sua prole. - Ma se fossero rei? - la regina riprese. Ed elle per dolore affrettando il discorso, ad una voce replicarono: - Sono innocenti; lo attesta il silenzio degl'inquisitori, la tenera età de' nostri figli, e gli onesti costumi, la religione verso Iddio, l'obbedienza che ci portavano, e nessuna macchia, nessun fallo, nemmeno que' leggieri che si perdonano alla inesperta gioventù. - Né altro dissero, instupidite e accomiatate. Più dei discorsi l'aspetto dolentissimo e la egregia fama delle donne commossero la regina; non così da far grazie alla reità degli accusati, ma perché sospettò della innocenza. Ella, inflessibile a' rei, non bramava travagliare i giusti; diversa da' ministri suoi, che dall'universale martirio traevano grandezza e potere. Quei principi, credendo ad inique genti, furono spietati non ingiusti; sino ad altre età, che, non più ingannati, ma volontari, cruciarono i soggetti, innocenti o rei, per amore di parti e insazietà d'impero.
      Ma in quell'anno 1798, men guasto il senno e l'animo di loro, il re, dopo il riferito discorso delle due donne, scrisse lettere alla Giunta di Stato che imponevano di spedire il processo degli accusati di maestà, i quali da quattro anni languivano nelle prigioni, stando in sospeso la giustizia, con grave danno dell'esempio, e forse travagliando immeritamente gran numero di sudditi infelici. Per quello stile di pietà, nuovo, inatteso, intimorendo la Giunta (ché tutti tremano della tirannide; chi la esercita, chi la sopporta), i due primari inquisitori, Castelcicala e Vanni, consultarono.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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