Ogni coscritto, ricordando le patite ingiustizie, tenevasi vittima dell'altrui forza; e, parendogli che nessun dovere, nessun sacramento, nessun fatto giusto l'obbligasse alla milizia, solo vi stava per timor della pena. I nuovi coscritti, uniti agli antichi soldati, empievano l'esercito di settantacinquemila combattenti, soperchi per le fermate alleanze, non anco bastevoli a' concetti. E a tante squadre mancando il condottiero, venne d'Austria il generale Mack, noto per le guerre di Germania, dalle quali, benché perdente, uscì accreditato di sapienza nell'arte e di valore nelle battaglie. Onorato dal re, da' cortigiani e dall'esercito, rassegnò le schiere spicciolatamente, senza percorrere la frontiera; però ch'ei mirava, non alle difese, alle conquiste: conferì per le idee principali della guerra col generale Parisi, per la fanteria col generale de Gambs, per la cavalleria co' principi di Sassonia e di Philipstadt, per l'artiglieria col general Fonseca; i pochi suoi detti passavan da labbro in labbro, ammirati come responsi di oracolo. Accertò il re avere esercito pronto ad ogni guerra; e fu creduto.
La regina, irrequieta, volea prorompere negli Stati romani; agevolata dagl'Inglesi, che, tenaci alla guerra, temevano il congresso già convocato a Rastadt per la pace. Stava perciò in Napoli, sin dal settembre, il barone di Awerveck, confidente di Pitt, viaggiatore oscuro, ma potentissimo, amico a Repuin, ministro di Prussia, a Metternich di Austria motore tra i primi delle discordie nelle conferenze di Rastadt, consigliere all'orecchio de' nostri principi. Il re, nel quale intiepidiva l'amore di quiete, da che l'ira e i timori lo avevano alquanto allontanato dal grossolano vivere nei piaceri, chiamò consiglio per decidere o guerra o pace; e, se guerra, il tempo e il modo.
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