- Ma giorni appresso, il 22 novembre, comparve manifesto del re, che, rammentando gli sconvolgimenti della Francia, i mutamenti politici della Italia, la vicinanza al suo regno de' nemici della monarchia e del riposo, l'occupazione di Malta, feudo de' re di Sicilia, la fuga del pontefice, i pericoli della religione: per tante ragioni e tanto gravi, egli guiderebbe un esercito negli Stati romani, a fine di rendere il legittimo sovrano a quel popolo, il capo alla Santa Sede cristiana, e la quiete alle genti del proprio regno. Che, non intimando guerra a nessun potentato, egli esortava le milizie straniere di non contrastare alle schiere napoletane, le quali tanto oltre avanzerebbero quanto solamente richiedesse lo scopo di pacificare quella parte d'Italia. Che i popoli di Roma fossero presti a' suoi cenni, ed amici; sicuri nella sua clemenza, egli promettendo di accogliere con paterno affetto i traviati che tornassero volontari all'impero della giustizia e delle leggi.
Così il manifesto. Lettere secrete de' ministri del re concitavano gli altri Gabinetti d'Italia o i personaggi più arrischiati alle nemicizie ed alla guerra. Delle quali lettere una del principe Belmonte Pignatelli, scritta al cavaliere Priocca, ministro del re di Piemonte, intercetta e pubblicata, diceva tra le cose notabili: "Noi sappiamo che nel consiglio del re, vostro padrone, molti ministri circospetti, per non dire timidi, inorridiscono alle parole di spergiuro e di uccisione; come il fresco trattato di alleanza tra la Francia e la Sardegna fosse atto politico da rispettare. Non fu egli dettato dalla forza oppressiva del vincitore? non fu egli accettato per piegare all'impero della necessità? Trattati come questi sono ingiurie del prepotente all'oppresso, il quale, violandoli, se ne ristora alla prima occasione che il favor di fortuna gli presenta.
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