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      Il Governo toscano, allora in pace colla Francia, patì prepotenza o la finse; e manifestando che, non in dispregio della fermata neutralità, ma per condizione dei meno forti, egli tollerava il disbarco dei soldati, dichiarò voler mantenere la pienezza dell'imperio ne' suoi Stati, e commettere le sue ragioni alla giustizia ed a Dio. Con altro editto, accresciute le milizie soldate, create le urbane, provvisto alla quiete dei soggetti, attese il fine della guerra di Roma. Il generale Naselli non mosse, aspettando, come gli era prescritto, gli ordini del Mack; il quale inabile alle vaste combinazioni strategiche, e poi smarrito ne' precipizi delle sue fortune, obliò quella legione di ben seimila soldati, che neghittosa e spregiata restò in Livorno. Egli ed il re si godevano in Roma le non mai gustate delizie del trionfo: e, come a guerra finita, stettero cinque giorni senza procedere contro Macdonald; solamente invitando alla resa o minacciando il presidio di Castel Sant'Angelo. È degno di memoria il cartello che il tenente generale Bourcard spedì al tenente colonnello Walter, comandante del forte, però che tra l'altro diceva: "I soldati francesi, ammalati negli ospedali di Roma, saran tenuti ad ostaggio; così che ogni cannonata del castello cagionerà la morte di un di loro per rappresaglia; o consegnandolo all'ira giusta del popolo". Del quale cartello una copia, segnata Mack, mandata al generale Championnet, e da questo bandita nell'esercito, rese la guerra spietata. Rifiutando il castello di arrendersi, tirarono d'ambe le parti, a sdegno più che ad offese, inutili colpi; e il giorno 3 del dicembre l'oste di Napoli mosse da Roma. Seimila soldati restarono a guardia del re, e poiché la schiera del colonnello Giustini aveva raggiunto l'esercito, venticinquemila combattenti andarono contro Civita Castellana.


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Storia del reame di Napoli
di Pietro Colletta
pagine 963

   





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