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XXXIX. Per i quali provvedimenti superbivano le parti borboniche, vedendo gli Abruzzi liberi per valore proprio, e l'esercito di Francia radunato, non già, credevano, per mira o prudenza di guerra, ma per ritirarsi nella Romagna. Tanti successi di genti avventicce, paragonati alle perdite dell'immenso esercito di Mack, confermavano nella mente comune il sospetto di tradimento; e tanto più che all'avanzar de' Francesi, cresciute le acerbità di polizia, si udivano imprigionamenti e castighi; molti uffiziali dal campo menati nelle fortezze; chiuso in fortezza lo stesso ministro per la Guerra maresciallo Ariola. Le quali cose, dividendo il popolo, indebolivano le resistenze al nemico, e generavano le discordie civili e le tante calamità da quel misero stato inseparabili. Fu questo il più amaro frutto dell'antico mal senno del Governo in supporre e punir congiura, in sé non mai vera, surta ne' disegni ambiziosi di pochi tristi, annidata nell'animo superbo della regina, poscia involgata e creduta. Esiziale menzogna, che annientò la dignità della monarchia, il credito de' grandi, l'autorità de' magistrati. Per essa disobbedivano i soldati a' capi, i soggetti a' maggiori; e udivi ai ricordi de' doveri o delle leggi, rispondere i contumaci la usata voce di traditori. Cosicché, spezzati gli ordini sino allora venerati della società, la parte per numero e ardire più potente, cioè la bassa moltitudine dominava; tanto più nella città, dove la plebe più numerosa, il ceto de' làzzari audace, i guadagni più facili e grandi. Cadute le discipline, dispregiato il comando, le squadre ordinate si scioglievano; i fuggitivi, chiamati, non tornavano alle bandiere; il valore de' partigiani si disperdeva in opere mirabili, ma vane.
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