E, giorni appresso, tornando da Sicilia parecchi legni da guerra, si offerse spettacolo più mesto; imperciocché, a chiaro sole, il conte di Thurn, tedesco ai servigi di Napoli, da sopra fregata portoghese comandò l'incendio di due vascelli napoletani e tre fregate, ancorati nel golfo. Il fuoco appariva, benché in mezzo al giorno, a' riguardanti per colore fosco e biancastro; sì che vedevansi le fiamme, come uscenti dal mare, lambire i costati delle navi, e scorrere per gli alberi, le antenne, le funi catramate e le vele; disegnando in fuoco i vascelli, che poco appresso, cadendo inceneriti, scomparivano. Tacito, mesto, costernato mirava il popolo; e, sciolto lo stupore, l'un l'altro addimandava: - Perché quella rovina? Non potevano i marinari napoletani ed inglesi trasportare in Sicilia que' legni? Sarà dunque vero che brucieranno il porto, gli arsenali, i magazzini dell'annona pubblica? Sarà vero che la fuggitiva regina vorrà lasciare non altro al popolo che gli occhi per vedere la pubblica miseria, e per piangere? - E subito abbandonato il lamento, correndo alle opere, andaro alla casa del Comune per dimandare che gli edifizi fossero custoditi da' popolani; ma quetaronsi al vedere che numerose milizie urbane già guardavano la città. Gli Eletti, al pari del popolo commossi dalla empietà degl'incendi e dal timore di più grandi rovine, consultarono dello Stato; proponendo, chi ordinarsi a repubblica per ottenere facile accordo da' Francesi, chi trattar pace per danaro, chi cercare alla Spagna nuovo re della casa Borbone, e chi (fu questo il principe di Canosa, che qui nomino acciò il lettore lo conosca da' suoi principi) comporre Governo aristocratico: essendo le democrazie malvage, e la monarchia di Napoli, per la fuga e gli spogli, decaduta.
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