E maggiore ignoranza era nella pratica. Qui non mai parlamento nazionale o congreghe di cittadini (da' tempi antichissimi e scordati della buona casa Sveva) per trattare i negozi dello Stato; qui sempre i diritti di proprietà conculcati dalle volontà del fisco, dalle gravezze feudali, dalle decime della Chiesa, dalle fantasie della prepotenza; qui le persone soggette all'imperio de' dominatori e de' baroni, agli abusi del processo inquisitorio, .alla potenza de' delatori e delle spie, alle leve arbitarie per la milizia, ed alle angarie della feudalità; qui non libere le arti né i mestieri né le industrie, qualunque volontà impedita. Il solo segno di libertà rimaneva ne parlamenti popolari per la scelta degli ufficiali del municipio: libertà sola e sterile, perché tra infinite servitù.
Mancavano dunque le persuasioni di libertà; peggio, della uguaglianza. La libertà viene da natura, così che bisognano ripetuti sforzi del dispotismo e pieno abbandono del pensiero per dimenticarne il sentimento; l'uguaglianza nasce da civiltà, e per lungo uso della ragione; ché non sono concetti di natura. Il debole uguale al forte, il povero al ricco, l'impotente al potentissimo: nelle tribù rozze dell'antichità erano gli uomini liberi, ma inuguali. E dopo le dette cose, riandando la storia del popolo napoletano, non l'antichissima e dimenticata delle repubbliche greche, ma la più recente, come che vecchia e continua di sette secoli, che ha formato gli universali costumi, non si troverà negli ordini civili pratica o segno di uguaglianza; bensì monarchia, sacerdozio, feudalità; immunità, privilegi, servitù domestica, vassallaggio ed altre innumerevoli difformità sociali. Perciò in quell'anno 1799 non era sentita dalla coscienza, e nemmeno concepita dall'intelletto del popolo l'uguaglianza politica; solamente l'ultima plebaglia finse d'intendere in quella voce l'uguale divisione delle ricchezze e de' possessi.
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